Iva Berasi - articoli, lettere e interviste dalla stampa | |||||
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Trento, 6 maggio 2003 Quindici anni fa, il 6 maggio del 1988, la Provincia autonoma di Trento approvava la propria legge organica sui Parchi naturali (LP n.18), dopo un ventennio (1967) dall’adozione del Piano urbanistico provinciale che decise l’istituzione di due parchi naturali provinciali, l’Adamello Brenta e il Paneveggio-Pale di San Martino (in aggiunta al preesistente Parco nazionale dello Stelvio). Quindici anni sono un periodo di tempo sufficientemente lungo per fare il punto sulla situazione dei nostri Parchi, ma anche per interrogarci sulle prospettive future per la tutela e conservazione del patrimonio ambientale trentino. Un patrimonio che deve fare i conti da un lato con profonde e preoccupanti trasformazioni climatiche ed ambientali di carattere planetario – dall’effetto serra alle piogge acide – ma anche con rinnovate spinte localistiche, derivanti da un incontrollato aumento del traffico stradale (e dalla spinta per nuove vie di penetrazione anche nelle aree protette o nelle zone immediatamente vicine) e dagli “appetiti” di una industria turistica pericolosamente sbilanciata verso la “monocoltura” dello sci, con sempre più pressanti richieste di nuovi impianti di risalita in arre protette o potenzialmente da tutelare, incurante dei limiti di sostenibilità di un simile modello di sviluppo. La realtà che emerge dai dati territoriali e di investimento, ma anche dal flusso dei visitatori, consente di tracciare un quadro positivo dell’esperienza trentina dei Parchi. Dopo vent’anni di discussione - dalla loro istituzione col PUP del ’67 – i Parchi e le aree protette sono diventate una realtà significativa anche sul piano amministrativo, gestionale e scientifico, con importanti ricadute per il territorio provinciale. Poco meno di trecento addetti, tra stagionali e fissi nelle aree protette trentine, oltre sette milioni di euro (una cifra quasi raddoppiata rispetto ai livello del 1998) ed oltre cento amministratori direttamente coinvolti nella gestione, credo diano la misura della consistenza dello sforzo compiuto dall’Amministrazione provinciale per consolidare questo settore. Lo dico senza trionfalismi, e senza nascondermi i problemi che ancora sussistono, ma rivendicando che in Trentino si è saputo procedere consolidando un percorso ormai tracciato da trent’anni mentre in altre realtà regionali si è assistito a “tagli” molto preoccupanti, sia di investimenti sia di estensione delle aree protette. Tutela non significa, ovviamente solo Parco. E la significatività dell’esperienza trentina sta anche a mio avviso nella capacità di vincolare e tutelare rigorosamente piccole aree o piccole oasi di territorio, forse insignificanti per la loro dimensione, ma rilevantissime per peculiarità botaniche, faunistiche o geologiche. Se sommiamo alla superficie dei Parchi anche queste porzioni di territorio raggiungiamo circa un quarto della superficie della Provincia di Trento, ed il dato è ancor più incoraggiante se si tiene conto delle nuove richieste di istituzione di Parchi, questa volta non “calate dall’alto”, come è stato per i due Parchi naturale inseriti nel PUP del ’67, ma sollecitati dalle popolazioni ed amministrazioni locali, attraverso i Patti territoriali: mi riferisco alle proposte di parco del Bondone e di Parco del Baldo. Il consolidamento sul piano amministrativo, finanziario e gestionale dei due Parchi e delle aree protette ha reso possibili significativi interventi: in primo luogo la fauna, con il rinvigorimento e l’immissione di un piccolo gruppo di orsi nel parco Adamello-Brenta – un esperimento seguito con grande attenzione anche dalla popolazione e che credo posa definirsi perfettamente riuscito – e l’attenzione per la presenza di altri predatori, dalla lince, al ripeto ed al grifone. I due piani faunistici dei due Parchi hanno consentito un significativo miglioramento delle condizioni della fauna nelle aree dei Parchi ed in quelle limitrofe, soprattutto se consideriamo anche quella non di immediato interesse venatorio: dagli uccelli agli anfibi ed ai rettili, in stretta collaborazione con Musei ed Istituti universitari. Ma vi sono almeno altre tre importanti aspetti da considerare. I Parchi hanno rappresentato un occasione importante per lo sviluppo della ricerca scientifica: mediamente il 10% del loro bilancio è investito in questo settore (oltre 600 mila euro, nel 2002, se si considerano i tre progetti speciali Life Ursus, Life Tovel e Salto sul lago di Tovel). Ciò ha consentito di approfondire la conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche naturali, ricavandone preziose indicazioni per una gestione più corretta, con ricadute positive sulla selvicoltura, l’agricoltura ed un più razionale sfruttamento delle risorse idriche. Un secondo aspetto dell’attività dei parchi è strettamente legato all’educazione ambientale in collaborazione con le scuole (oltre 7500 gli alunni coinvolti in vari progetti nel 2002) ma anche con le attività turistiche estive. I nove centri visitatori hanno registrato nel 2002 oltre 40 mila presenze, la maggior parte a pagamento. Ma sono oltre 200 mila le persone che sono entrate a contatto nello stesso periodo con le attività dei due Parchi. Non sembra esagerato affermare oggi che l’immagine del Trentino è in larga misura legata a quella delle sue aree protette. Un terzo aspetto riguarda lo sforzo compiuto per sostenere le attività agricole tradizionali che si sono sempre svolte in passato nel territorio del Parchi:dallo sfalcio alla ricostruzioni delle siepi, al ripristino dei masi tradizionali e delle malghe ed al sostegno di prodotti legati all’alpeggio. Non si tratta di interventi estemporanei ma di una vera e propria politica che mira a rendere possibile una stabile permanenza umana sulla montagna. Ho iniziato questa breve riflessione sull’esperienza trentina dei Parchi naturali non nascondendomi alcune “criticità” in particolare derivanti da fattori “esterni” (dei quali peraltro anche noi siamo ampiamente corresponsabili) quali i cambiamenti climatici, e da fattori “interni” quali gli ipotizzati impianti di risalita e nuove aree sciistiche o l’apertura di nuove vie di attraversamento delle Alpi su gomma (la terza corsia per l’Autobrennero o il completamento della Valdastico). Desidero tuttavia concluderla nel segno della speranza che a mio avviso sta in un aumentato interesse da parte dei cittadini verso la protezione dell’ambiente naturale. Senza tale nuovo atteggiamento non sarebbe possibile registrare richieste come quella del Parco del Bondone, che rovescia il rapporto fra la città capoluogo e la sua montagna, in un ritrovato equilibrio naturale ed in un significative recupero di tradizioni non dimenticate, e del Parco del Baldo, segno positivo di una inversione di tendenza che in passato aveva quasi sempre fatto registrare l’ostilità delle popolazioni locali verso l’istituzioni di nuove aree protette, percepite come un limite allo sviluppo anziché come positiva occasione di crescita sociale ed economica, nel rispetto dell’ambiente, della natura e delle più genuine tradizioni. Iva Berasi
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